È stata rinvenuta una nave Imperiale, spenta e silenziosa, senza alcun segno di danni. Un team di Astra Militarum si avventura al suo interno per scoprire la tragica fine dell’equipaggio… ma ciò che trovano nascosto nel vascello è un orrore al di là dei loro incubi più oscuri.

La torcia innestata sotto la canna della lasgun di Gerrikan Orzan squarciò la totale oscurità del corridoio davanti a lui. Piccole particelle di polvere alla deriva danzavano pigramente attraverso la luce fredda mentre il sergente faceva cenno al gruppo di seguirlo nello spoglio vestibolo ottagonale che portava fino al cuore della Advent Imperatus.

La nave era completamente buia – nemmeno le luci di emergenza si erano attivate per illuminare i cunicoli e le sale che avevano oltrepassato. Gli stivali di cinque soldati ben addestrati risuonavano sui pavimenti piastrellati d’acciaio. A parte questo, tutto era avvolto da uno strano silenzio.

“Sembra una nave fantasma”, trasmise il Soldato Miika al resto del gruppo. “Avete visto lo scafo entrando? Nemmeno un singolo graffio. Nessun danno da battaglia. Nulla di nulla.”

“Lo so”, concordò Tsararel. “Ma come fa una singola fregata a finire alla deriva fino a qui? Che cosa è accaduto al resto della flotta?”

“So cosa succederà a te se non impari presto a usare il trasmettitore solo quando è necessario”, tuonò il Sergente Gerrikan.

I cinque soldati continuarono in silenzio, addentrandosi sempre più nelle profondità del vascello e lontani dalla sicurezza della loro nave ormeggiata al ponte. Però è strano, pensò Gerrikan fra sé e sé. La nave di classe Tempest era appena apparsa, fluttuante attraverso le stelle, oscura e inerte. Le autorità Imperiali avevano provato a mettersi in contatto con la fregata, ma senza risultati. Allora, la squadra di Gerrikan era stata incaricata di investigare la provenienza della Advent Imperatus apparsa così improvvisamente. Quando la loro nave aveva fatto l’ingresso nell’hangar di approdo, non avevano incontrato alcuna resistenza.

Al loro arrivo, i generatori della nave erano ancora spenti, solo il protocollo di emergenza manteneva un flusso d’aria pulita riciclata e un campo di gravità stabile, ma non c’era altro. Non avevano ancora trovato alcuna traccia dell’equipaggio.

Dopo qualche tempo, raggiunsero un bivio. Una via portava verso il ponte, mentre l’altra discendeva verso il cuore della fregata, dove si trovavano le cuccette dell’equipaggio e le postazioni mediche.

“Tsararel, Izzren, voi controllate i ponti inferiori”, ordinò Gerrikan. “Miika, Holt, voi con me. Vedremo se c’è qualcuno sul ponte. Tenete le armi spianate e gli occhi aperti.”

“Andiamo, Izz”, disse Tsararel appoggiandosi la plasma gun contro la spalla mentre marciava attraverso il passaggio di sinistra. Mentre Izzren lo seguiva, lo sguardo di Gerrikan cadde su di lei più a lungo del previsto. La sua sorella minore si era unita al 105esimo battaglione dei Falkenberg Wardrakes non molto tempo prima e l’orgoglio che provava era ancora fresco. Si era fatta strada con determinazione attraverso la dura selezione e l’addestramento brutale del reggimento subito dopo l’ingresso dello stesso Gerrikan, con la ferma certezza che avrebbe preso parte allo stesso gruppo – e quindi reggimento – del fratello.

Izzren non l’aveva fatto per qualche bisogno immotivato della sua compagnia o protezione. Piuttosto, era sempre stata decisa nel non lasciare che Gerrikan la superasse in niente. Non vi era nulla da dire, era un soldato eccezionale. Tuttavia, il sergente non poteva semplicemente accantonare il fatto che era un suo superiore, adesso. Non poteva permettersi di trattarla diversamente da ogni altro dei suoi soldati.

“Sergente, è dei nostri?”, chiese Miika.

“L’Imperatore siede per caso su un Trono Dorato?”, replicò Gerrikan. “Avanti, verso il ponte.”

Il ponte della Advent Imperatus era desolato e senza vita come il resto della nave.

“Per l’occhio dell’Imperatore, non riesco a capire”, mormorò Gerrikan. “Dividiamoci, formazione Vigilantus. Miika, tu copri il fianco destro, Holt, tu a sinistra.”

Gli altri due soldati risposero al comando con brevi clic alla ricetrasmittente e prepararono le loro lasgun. Miika si mosse furtivamente verso l’estremità destra del ponte. La luce della sua torcia danzava sopra schermi scuri e stazioni servitor.

“Lo vedete?”, trasmise. I servitor erano afflosciati sui loro supporti, ancora collegati a tactical data-shrines e stazioni cogitator. Sembravano emaciati e morti, ma non c’era una causa evidente.

“Mantieni la posizione, Miika”, trasmise Gerrikan. “Holt, controlla l’altro lato.”

Appena la sua voce si interruppe, Holt schizzò sulla sinistra. La luce della torcia mulinava nell’oscurità mentre il soldato avanzava da un punto in copertura al successivo. D’improvviso cadde e la spera di luce sobbalzò, seguendola.

“Holt, che succede?”, chiamò Gerrikan.

“Va tutto bene”, rispose, respirando pesantemente. “Sono… sono inciampata in qualcuno. È morto, come i servitor.”

Gerrikan si fece strada verso la posizione di Holt, il cuore che gli martellava nel petto.

In nome dell’Imperatore, che sta succedendo qui?

“Sembra quasi che si sia sdraiato per non rialzarsi più”, commentò Holt all’arrivo del Sergente. Aveva ragione; l’uomo giaceva a terra, collassato come una bambola di pezza smarrita.

Gerrikan annuì e avanzò silenziosamente a controllare il resto del ponte. Mantenne un occhio sui dintorni, ma non gli arrivò alcun segnale di vita, solo altri membri dell’equipaggio deceduti. I cadaveri sembravano tutti scarni e macilenti, come se fossero semplicemente entrati in coma oppure affamati a morte, piegati sulle loro stazioni. “Nessun segno di vita”, trasmise, mentre raggiungeva il trono di comando al centro del ponte. Si accigliò nel guardare il corpo senza vita del comandante della nave. I suoi occhi erano spalancati e vitrei, rivolti al soffitto. Gerrikan rabbrividì. “Riposo, Wardrakes. Non c’è altro che cadaveri qui. Possa l’Imperatore proteggere le loro anime.”

“Deve esserci una ragione per tutto questo, signore”, replicò Holt. “Nessuno collassa e muore dal nulla.”

Gerrikan annuì. “Sono d’accordo. Miika, riattiva il data extractor e mettici in collegamento. Vediamo se riusciamo a far funzionare qualche cogitator bank. Forse possono dirci qualcosa su quello che è successo qui. Nel frattempo, speriamo che Tsararel e Izzren abbiano più fortuna.”

Una volta premuta la runa di attivazione, il massiccio portone davanti a Izzren si aprì con un leggero sibilo. “Bene”, mormorò. “Dovremmo trovare le postazioni mediche, più avanti.” E forse anche qualche risposta, pensò.

Tsararel annuì. “Diamo una veloce occhiata alle sale esterne e procediamo verso gli alloggi dell’equipaggio. Prima abbiamo finito e meglio è. Non mi piace affatto questo posto.”

Izzren rispose con un cenno del capo. “Fai strada”, decise. “Preferirei avere la tua plasma gun fra me e… qualsiasi cosa possiamo trovare là sotto.”

Tsararel fece spallucce e alzò la sua arma, arrivando con il pollice alla runa di attivazione. La spira di plasma illuminò l’ambiente circostante di una luce blu e un lieve ronzio. L’esperto di armi del gruppo fece un passo verso il portone.

“Qui Tsararel Crestlan del 105esimo battaglione Falkenberg Wardrakes”, gridò rivolto all’oscurità, la voce potenziata dal meccanismo amplificatore nel suo casco. “Qualcuno riesce a sentirmi?”

Il silenzio sembrò farsi addirittura più assordante. Izzren poteva quasi sentirlo aleggiare su di lei dal nero più totale che aveva di fronte, come un venticello gelido.

Tsararel si voltò a guardarla. Lo scintillio rosso del suo occhio bionico si mescolava con la luminescenza blu dell’arma al plasma.

“Andiamo”, disse, e avanzò nella sala successiva. Izzren lo seguì, lasciando che la sua luce vagasse sulla stanza che si apriva oltre la porta.

“Credo di aver trovato l’equipaggio…”, disse Tsararel in un soffio, mentre valutava la scena che gli si palesava di fronte.

A Izzren venne la pelle d’oca quando la luce della sua torcia toccò le postazioni mediche, sorvolando fila dopo fila di figure accasciate sulle lettighe. Erano ancora collegate ai dispositivi che li avrebbero dovuti tenere in vita. Alcune barelle erano rovesciate. Alcune figure erano state legate con delle cinghie, erano vive, ma sembravano completamente inerti. Altre si erano girate sui loro letti, strappando cavi e flebo che portavano loro nutrimento. Sparpagliati nel mezzo della scena c’erano i medici, scarni e smunti come i loro pazienti. Un sottile strato di liquido nutrizionale da endovena era rovesciato sul pavimento e gocciolava da una flebo mezza collegata a qualcuno che non ne avrebbe più avuto bisogno.

“Sembra quasi che… qualcosa li abbia fatti sprofondare in una specie di coma, uno dopo l’altro”, sussurrò Izzren.

“Dovevano sapere cosa stesse succedendo”, disse Tsararel, con un cenno rivolto verso il cadavere di un infermiere riverso sul pavimento. “Hanno tentato di salvarne quanti più potevano prima che colpisse anche loro. Chi non era sotto flebo è morto di fame.”

“Ma perché?”, si chiede Izzren, che ancora cercava di elaborare lo spettacolo macabro davanti ai suoi occhi. “Che cosa è successo?”

“Solo l’Imperatore può saperlo”, replicò Tsararel. Izzren si rese conto che la sua presa sulla plasma gun si era fatta più ferma. “Sarà meglio informare il Sergente di cosa abbiamo trovato.”

Izzren annuì e aprì la connessione via radio. “Izzren a Gerrikan.” Un breve clic indicò che il fratello era in ascolto.

“Abbiamo rinvenuto una postazione medica di fortuna sul ponte dell’equipaggio”, continuò. “Molti deceduti, altri membri dell’equipaggio sono ancora attaccati alle flebo, ma sono dormienti. Tutti quelli che non sono collegati invece sono morti.”

“… suggerisco… svegliare…”, la voce di Gerrikan arrivava a sbalzi.

Izzren premette sul pulsante di trasmissione del suo casco. “Gerrikan? Sergente!”

“… ripeto… svegliare…”

“Aggeggio maledetto”, inveì. “Qualcosa quaggiù sta bloccando le comunicazioni via radio, Tsararel.”

Tsararel annuì. “Pensi che dovremmo provare a svegliarne uno per interrogarlo?”

“Immagino di sì”, rispose Izzren avvicinandosi alla lettiga più vicina. Con attenzione, evitò di calpestare il cadavere in decomposizione di un servitor medico accasciato lì accanto e diede un’occhiata al monitor della macchina che teneva l’uomo in vita. “Configurazione Mandela, tipo quattro”, mormorò. Izzren digitò una serie di codici standard Imperiali nel pannello di controllo, accompagnandosi con alcune preghiere fai-da-te per convincere la macchina a collaborare.

“Questo dovrebbe riportarlo al servizio dell’Imperatore.”

Un leggero ronzio scaturì dalla macchina quando iniziò a pompare farmaci nel corpo del paziente addormentato. Izzren fece un passo indietro e sollevò la lasgun puntandola verso l’uomo comatoso. Una rapida occhiata verso il suo fianco le rivelò che Tsararel aveva fatto lo stesso. Passarono alcuni momenti, ma l’uomo continuava a giacere inerte e immobile come la nave.

Izzren trasse un profondo respiro e si avvicinò, quasi con riluttanza. Molto lentamente, si piegò in avanti, fino a poterne sentire il flebile respiro ritmato. Il suo petto si muoveva a malapena, ma era sicuramente vivo. Era come se non fosse veramente presente.

Izzren stava per iniziare a parlare, ma le parole le morirono in gola quando Tsararel gemette dietro di lei.

Ruotò in cerchio istintivamente e nello stesso istante spianò la sua lasgun. Crudeli artigli argentati squarciavano lo stomaco del suo compagno. Prima che Izzren potesse reagire in altri modi, Tsararel venne violentemente sollevato e scaraventato dall’altra parte della sala, andando a schiantarsi contro una fila di barelle.

Non fu quella la ragione per cui Izzren iniziò a gridare. Izzren premette il grilletto della sua lasgun, puntata contro l’assassino di Tsararel, che nel frattempo si era lanciato verso di lei.

“Izzren? Izzren! Ripeto, non tentate di svegliare nessuno laggiù!”, gridò Gerrikan nel suo radiotrasmettitore, anche se sapeva che la comunicazione era stata interrotta.

“Per l’occhio dell’Imperatore”, bestemmiò, tornando a guardare lo schermo dei sistemi cogitator che lampeggiava precariamente. Sentì uno spesso nodo alla gola. “Rimetti tutto a posto, Miika. Abbiamo le informazioni che ci servono. Ritroviamo Izzren e Tsararel e andiamocene via di qui.”

Miika annuì e prese a riavvolgere i cavi del data extractor con movimenti fluidi e studiati. Gerrikan era felice di non dover più guardare le immagini del monitor. Le autorità Imperiali dovevano sapere il prima possibile.

“L’extractor è spento e immobile, Sergente”, disse infine Miika.

“Ricevuto. Usciamo, Wardrakes. Recuperiamo i nostri compagni.”

Holt esitò. “Un attimo”, disse. “L’auspex rileva qualcosa.”

Non aveva ancora terminato la frase quando Gerrikan avvertì un improvviso formicolio allo stomaco, come se stesse precipitando in un profondo abisso. L’aria attorno a loro sfrigolava.

“Via! Ora!”, urlò il Sergente, iniziando a correre.

Tre accecanti lampi verdi di energia esplosero a mezz’aria e delle orride creature vi fuoriuscirono. Possedevano una forma umanoide, ma i loro corpi erano forgiati di una lega metallica dal colore dell’ottone. Mentre Gerrikan guardava con orrore, una delle creature si voltò verso di lui. Il suo unico insensibile occhio lampeggiava mentre sollevò un’arma illuminata di luce spettrale e fece fuoco.

Gerrikan scivolò sotto lo scoppio di energia mortale e inveì mentre le scintille di un pannello di comandi colpito al posto suo piovevano su di lui. Holt non aveva avuto questa fortuna. Una delle creature di metallo la aveva centrata in piena testa e lei era collassata, morta prima di colpire il suolo.

Miika era riuscito a sparare una salva di lasfire nella schiena dell’assassino di Holt. Un buco di metallo fuso apparve sul carapace della creatura ricurva, ma il materiale prese a muoversi e ricongiungersi. Pochi secondi dopo, sembrava che Miika non avesse mai sparato alcun colpo alla creatura. La cosa si voltò verso il soldato con una velocità inumana, restituendo sistematicamente il fuoco. Infallibilmente, colpì Miika alla testa, che cadde in silenzio contro la console di navigazione e rimase immobile.

Gerrikan bestemmiò ed estrasse la sua power sword. Le tre figure metalliche lo ignorarono per un momento e si avvicinarono al corpo di Miika. Vogliono il data extractor, realizzò Gerrikan. Doveva agire in fretta.

“Nel nome dell’Imperatore!”, gridò, e corse contro la creatura più vicina. I soldati di metallo si voltarono per fronteggiarlo e due colpi infiammarono l’aria sopra la sua testa mentre si lasciava cadere per schivare. Il momento lo spinse avanti e la sua power sword affondò nella tibia di una delle mostruosità metalliche. Mentre una creatura cadeva a terra, Gerrikan si affrettò verso Miika e afferrò il data extractor. Poi, si fiondò verso il portone del ponte, tuffandosi attraverso l’apertura mentre altri raggi di energia colpivano i muri tutto attorno. Gerrikan rispose a tono, gettando una granata a frammentazione dietro di sé.

“Questa dovrebbe tenere occupati quei maledetti cosi”, mormorò tra sé e sé.

Mentre si affrettava lungo il corridoio buio, la sua mente corse alla sorella. Voleva andarla a recuperare e fuggire con lei, ma sapeva quale fosse il suo dovere. Strinse ancora più forte il data extractor. Il dovere aveva sempre la priorità.

Non poteva fare preferenze.

Doveva raggiungere il punto di estrazione, uscire dalla nave e fare rapporto di cosa aveva visto.

La luce della torcia saltava da un lato all’altro del corridoio come impazzita. Gerrikan ansimava pesantemente ma continuò a correre. Il cuore gli martellava nel petto e sembrava che la vita dovesse abbandonarlo da un momento all’altro. Ma quel momento non arrivò mai e raggiunse infine l’hangar della Advent Imperatus.

“Avviate i motori!”, trasmise Gerrikan mentre correva verso la nave in attesa.

Il portello della nave si dischiuse e una figura ricurva ne uscì, irriconoscibile nell’oscurità dell’hangar.

“Che state facendo? Mettete in moto la nave!”, ripeté Gerrikan, avvicinandosi ancora di più.

“Gerrikan, sono felice che tu ce l’abbia fatta”, rispose la sorella. Gerrikan smise di correre e il suo cuore parve perdere un battito.

“Izzren?”, sussurrò. Ce l’aveva fatta, alla fine! Era sopravvissuta davvero! Sarebbero potuti scappare insieme da questo incubo.

“Sì, fratello”, disse la figura mentre si avvicinava. Quando giunse all’interno del raggio della torcia di Gerrikan, il sergente sentì la sua forza abbandonarlo e si lasciò cadere sulle ginocchia.

“No… Izzren, no.”

La pelle della sorella era appesa alla cornice metallica della cosa che si avvicinava furtivamente a lui. Da sotto i buchi vacui dove una volta erano incastonati i suoi occhi celesti, due spietate lenti verdi lo scrutavano, osservando ogni sua reazione con gelida decisione. Ad ogni passo, del sangue gocciolava dall’orrida visione.

“Fratello”, ripeté il mostro, modulando la voce per simulare alla perfezione quella della sorella.

Gerrikan chiuse gli occhi e accolse il suo abbraccio.

 

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